Giacomo Colombo

Autore della statua dell'Immacolata


Giacomo Colombo (1663-1731), nativo di Este(Padova), ma vissuto lungamente a Napoli,ove morì. Il Colombo è stato uno scultore prolifico e la sua arte ha improntato il Mezzogiorno d'Italia, da Napoli alla Puglia, alla Basilicata, con un raggio d'azione geograficamente molto ampio.
La produzione di questo maestro ha trovato vasta eco nell'ambito della scultura lignea di soggetto sacro: busti-reliquiari di Santi e Sante; statue a figura intera e gruppi statuari. Giacomo Colombo, la cui opera lignea più importante resta la bellissima Pietà nella Collegiata di Santa Maria della Pietà a Eboli, era un vero e proprio artista-imprenditore, così come lo fu Giotto nel Trecento.
Egli dirigeva una vera e propria bottega di artisti, capace di soddisfare le richieste di opere d'arte lignee che inviava in quasi tutte le regioni meridionali; in particolare nel Cilento, nel Vallo di Diano, nella Capitanata. Colombo riuscì a formare un'équipe di collaboratori in grado di divulgare il proprio linguaggio stilistico con lavori di alto livello qualitativo, apprezzato dalla committenza. Fu sorretto, nella sua attività professionale, dalla lunga e assidua frequentazione del pittore Solimena, che spesso gli forniva anche idee e modelli compositivi e disegni che poi venivano “tradotti” in sculture. Ma è presente nel Colombo anche una cultura iberica, spagnola, “ tendente a un gusto espressionistico e dichiaratamente teatrale”.
Terzo, in ordine di tempo, della triade di fortunati e instancabili produttori di immagini sacre da inviare in tutto il regno spagnolo ed esportare anche fuori dei confini di quello, Giacomo Colombo rappresenta, ancor più dei suoi «concorrenti più anziani, l'esempio più emblematico di artista-imprenditore, sorretto da una organizzatissima bottega capace di soddisfare, senza mai scendere al livello della pura serialità artigianale, di mera routine devozionale, una richiesta sostenutissima di sculture lignee, che la bottega inviava in tutte le regioni del Mezzo­giorno continentale, dall'Abruzzo alla Puglia, e con particolare assi­duità in alcune zone che di quelle sculture risultano ancora oggi ricchissime, come la Capitanata e il Vallo di Diano.La richiesta partiva anche da terre d'oltremare, come la Spagna, e ìn questo Giacomo Colombo si trovava in buona compagnia: sì conosce almeno un caso in cui Colombo e Nicola Fumo inviano nello stesso anno e per la stessa località spagnola due distinte sculture. Nel 1698 infatti ì due scultori inviano a Madrid (per la chiesa di San Ginés) il primo un Cristo alla colonna, il secondo un Cristo portacroce .
Era quella di Giacomo Colombo una bottega il cui titolare, e non è merito da poco, era riuscito a formare una équipe di collaboratori in grado di fornire un prodotto il più possibile omogeneo e di un livello qualitativo costante e apprezzato dalla committenza. È ben vero, e la cosa era quasi inevitabile» che al pari del buon livello esecutivo, anche i modelli, gli schemi compositivi, il disegno, la decorazione delle vesti risultavano spesso alquanto ripetitivi, senza scarti di particolare originalità e fantasia,A sorreggere la bontà del disegno e degli schemi compositivi interveniva, a detta del De Dominici, l'aiuto dell'amico Solimena. Sotto la direzione di Solimena che lo istradava al meglio, dice infatti il biografo, «nel disegno e nelle mosse delle figure» Colombo fece molti lavori che riuscirono ottimamente. Ma quando lo scultore da se medesimo faceva il lavoro, non era di quella bontà di quelli diretti da Solimena.Fosse o non fosse lo stimolo di Solimena a sostenere il livello qualitativo di Giacomo Colombo, è un fatto che le prove migliori, e soprattutto in fatto di originalità, dello scultore sono quelle che si collocano sullo scorcio del Seicento e l'inizio del secolo successivo; quando cioè la produzione di Colombo non ha ancora raggiunto l'estensione che avrà nei decenni successivi.
Giacomo Colombo era nato a Este» nel padovano, nel 1663 ed era giunto a Napoli quindicenne nel 1678. Secondo De Dominici la sua formazione artistica era avvenuta alla scuola di Domenico Di Nardo, apprezzato esecutore di busti relìquario; ma seppure è probabile - non vi è ragione di dubitare della testimonianza di De Dominici, che scriveva in anni di poco successivi alla scomparsa di Colombo - che la pratica della scultura il giovane estense l'avesse appresa nella bottega del Di Nardo, l'attenzione maggiore l'avrà comunque riservata ai due più rappresentativi esponenti della plastica lignea di destinazione devozionale, Gaetano Patalano e Nicola Fumo, che saranno, e lo si è già accennato, anche i suoi principali concorrenti nella conquista di quel particolare mercato artistico.Gli studi hanno sempre sottolineato, per Colombo soprattutto e talvolta anche per Patalano, consonanze con la scultura secentesca spagnola, «tendente ad un gusto espressionistico e dichiaratamente teatrale» (Gaeta 1990) e in particolare con l'opera di Pedro De Mena.
Sia Colombo che Patalano lavoravano per una clientela spagnola, forse perché quell'ambiente culturale li sentiva in qualche modo congeniali alle proprie sensibilità e inclinazioni figurative o forse perché quelle inclinazioni proprio la scultura lignea napoletana secentesca, in anni precedenti, aveva contribuito a formare. Patetismo spagnolo e pateti­smo napoletano s'intrecciano nel corso del secolo e riesce ancora difficile sceverarne le precedenze.Giocava inoltre, nell'attività giovanile di Giacomo Colombo, che sappiamo autore di figure presepiali, anche il «caratterismo» proprio di quella particolare specialità artistica. Il verismo nella resa della vecchiezza delle tante Sant'Anna di cui è costellata l'operosità di Colombo, per esempio, ha una sua non casuale parentela con le teste di carattere, con i «tipi» che le figure di pastori diffonderanno dai presepi nella cultura d'immagine popolare. Nei personaggi comuni che affiancano talvolta, nei suoi gruppi lignei più elaborali, le figure sacre questo aspetto è spesso richiamato: sorta di «sermo humilis», in efficace contrasto con la teatralità barocca o, in anni più tardi, la più mossa grazia rocaille delle figure appartenenti alla sfera del sacro.
La prima opera documentata di Giacomo Colombo è la perduta decorazione a intaglio dell'organo della Croce di Lucca a Napoli, che risaliva al 1688; nell'anno successivo esegue un Crocifìsso in San Pietro a Cava dei Tirreni e nei 1691 un altro Crocifisso in Santo Stefano a Capri. In quello stesso 1689 Colombo si iscrive alla corporazione dei pittori e nel 1701, lui scultore!, ne diviene prefetto. Lo scultore praticò comunque anche l'attività pittorica, collocandosi nella scia di Solimena: l'unica prova conservataci di questa sua attività è il fondale angelico dell'Annunciazione in Sant'Arsenio, nel Cilento, che è del 1709. Particolare curioso, lo stile di quella pittura pare ricordare piuttosto Luca Giordano che Solimena.
La produzione del decennio conclusivo del secolo è caratterizzata da una resa plastica percorsa da una forte, drammatica tensione espressiva e culmina nella monumentale Pietà di Eboli (collegiata della SS. Pietà), eseguita tra 1698 e 1701, «esempio memorabile per i raggiunti accenti espressionistici» appena comparabile, per il vigore esasperato, alle opere del grande spagnolo Pietro de Mena» (Borrelli in Civiltà del Seicento 1984).A questa fase appartiene anche una inedita e assai bella scultura, in collezione privata fiorentina, raffigurante Sant'Onofrio, soggetto non 103-4 frequente tra quelli praticati da Colombo. L'esecuzione nervosa delle gambe, il viso pungente e appassionato apparentano il Sant'Onofrio ad altre sculture del tempo, come il già ricordato Crocifisso dì Cava dei Tirreni o alcune figure raffiguranti San Felice da Cantalice ubicate anch'esse nel salernitano.
Tale poetica di patetico espressivo svolta il secolo e continua a mantenersi viva ancora all'inizio del Settecento, quando la concorrenza con le altre botteghe di inesausti e convulsi produttori di immagini lignee si fa più serrata, costringendo Colombo ad agire su diversi e variegati registri espressivi.Tra questi, quello solimenesco; l'apporto del Solimena nell'ideazione di gruppi scultorei del Colombo ricordato dal De Dominici è confermato dai documenti e anche dallo stile.
L'esempio più significativo dì questo sodalizio è dato dai sepolcri di Anna Maria Àrduino e del figlioletto Niccolo Ludovisi, principe di Piombino, in San Diego all'Ospedaletto a Napoli, eseguiti tra 1703 e 1704. A Francesco Solimena, dichiarato «soprastante e architetto dell'opera», i committenti affidarono infatti la definizione dello schema e del disegno generale dei due monumenti.Nella produzione del primo decennio del Settecento, sia marmorea che lignea, l'apporto solimenesco appare molto forte: l'impianto compositivo è più controllato e attentamente calibrato, secondo dettami di misurala eleganza, e le figure sono atteggiate a un sobrio classicismo, che diventa un poco rigido e freddo nelle realizzazioni più monumentali, quali i sepolcri dei principi di Piombino. In ceni casi, come per la Madonna delle Grazie nella congrega di Santa Maria della Santella a Capua (1702), si va oltre la consonanza stilistica e Colombo si appog­gia direttamente a un dipinto del Solimena.
Con la già ricordata Annunciazione del 1709 Giacomo Colombo avvia una svolta in senso più capricciosamente rococò: se la Vergine annunciata è ancora palesemente debitrice alla cultura solimenesca, l'angelo fiammeggiante, con il suo porgere aggraziato e accattivante, preannuncia le eleganze lievi e raffinate della poetica rococò.Con il procedere della bottega di Colombo nella «conquista del mercato artistico dell'intero regno meridionale, quella stessa bottega si darà una struttura articolata sul territorio, con la creazione di vere e proprie succursali, come aveva a suo tempo intuito la Gaeta. A reggere una di queste succursali sarà chiamato - ce lo dice, in mancanza di precisi riscontri documentali, l'evidenza stilistica - Domenico Di Venuta, che interveniva anche a eseguire parti importanti di sculture firmate dal maestro. È il caso del San Gianuario nella cattedrale di Marsico Nuovo, firmato dal Colombo e datato 1714, come dimostra il confronto con un'opera dello stesso Di Venuta (che dunque lavorava sia come aiuto del Colombo che come artista indipendente), il San Pietro in San Pietro al Tanagro, che è solo di un anno prima» del 1713,Aiutava la diffusione in provincia delle sculture lignee di Colombo anche il prezzo abbastanza contenuto: nel 1706 la statua di San Vita in Santa Maria Maggiore a Sant'Arsenio (alta è vero, solo 136 centimetri) viene a costare la cifra abbastanza modesta, per i tempi, di quaranta ducati, più una curiosa, ma probabilmente ben gradita, integrazione in natura del prezzo con trenta forme di caciocavallo! Non c'è ovviamente possibilità di confronto, data la differenza di misure, di materiale usato e di contesto (Sant'Arsenio essendo un piccolo paese di provincia) ma, negli stessi anni, 1703-4, le due tombe dei principi di Piombino in San Diego all’Ospedaletto erano costate la considerevole somma di 1750 ducati.
Con la fase di maggiore attività del Colombo per le chiese napoletane: intorno al 1715 si colloca l'impresa del Cappellone di San Domenico in Santa Caterina a Formelle, per la quale, stando ai documenti, la direzione era interamente del nostro scultore che affidò proprio a Giacomo del Po l'esecuzione della grande pala d'altare il cui cartone preparatorio era ancora tra le "robe" dello scultore nel 1731 al tempo della stesura dell'inventario. Il ritratto di Carlo VI costituisce l'unica presenza in una chiesa napoletana di un esponente della dinastia Asburgo: Colombo conferisce alla scultura una dirompente vitalità; connotandola di valori epidermici, accentuando i trapassi chiaro­scurali e inserendo dettagli realistici come la verruchetta sul labbro superiore in linea (o forse anticipandola come Rizzo ha sostenuto) con la ritrattistica di Matteo Bottigliero e Francesco Pagano, ma con una intensità pittorica senza pari. A testimoniare un'autonomia inventiva e una estrema padronanza dei mezzi tecnici che spaziano dal marmo al legno alla pittura. Quindi il rapporto con i pittori non si risolve almeno nell'esperienza di Giacomo Colombo in una passiva acquiescenza o nella semplicistica trasposizione in scultura di un modello pittorico prestabilito, bensì in una vivace gara che lo condusse, forse per ammirazione, a tradurre nelle straordinarie Immacolate di Foggia e Ostuni, nelle mosse increspature dei panneggi e nella trama senza posa di linee, lo stile della pittura febbrile e mossa di Giacomo del Po.
Morì a Napoli nel 1731 all’età di 68 anni.